Scafati. Vicenda Aliberti, Cassazione: «Il patto politico mafioso c’è stato»

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Pubblicate le motivazioni della Cassazione sul no agli arresti nei confronti di Pasquale Aliberti, di suo fratello Nello Maurizio (già stralciati dal Riesame) e degli esponenti del clan Loreto-Ridosso. Il presidente della sesta sezione della Corte di Cassazione, Vincenzo Rotundo, aveva accolto in parte le considerazioni del procuratore generale Delia Cardi con l’annullamento con rinvio per Ridosso Luigi e Ridosso Gennaro in relazione alla scelta della misura per i fatti del 2013 e rigetto nel resto; per l’annullamento con rinvio per Aliberti Angelo Pasqualino limitatamente alla scelta della misura; rigetto nel resto. Confermato quindi l’intero impianto accusatorio formulato dal pm della procura antimafia di Salerno, Vincenzo Montemurro. «Il patto politico mafioso c’è stato ed è confermato, Alfonso Loreto è attendibile come pentito» spiegano gli ermellini, che definiscono l’operato del pm come un lavoro fatto in modo «coerente e logico con valutazione probatoria rispondente a criteri di completezza globalità e unitarietà dell’esame» ed inoltre poi, hanno rimarcato anche l’attendibilità del pentito Alfonso Loreto, fonte chiave d’accusa perché «ha tirato fuori una serie di fatti che rimandavano alle indagini in maniera spontanea, con veridicità e coerenza». Quanto all’appalto Italy Service secondo le ricostruzioni di Loreto, arrivato perché la ditta costituita era stata fatta ad hoc su indicazione dello stesso Aliberti, è arrivata in aula anche la conferma dello stesso Luigi Ridosso. Secondo il Riesame l’interesse del sindaco uscente ad ottenere un sostegno elettorale per garantirsi la rielezione trovava un primo elemento logico di riscontro nella stessa prospettazione dell’Aliberti circa i contrasti avuti anche con la propria maggioranza durante il primo mandato con conseguente consapevolezza di avere margini ristretti per la conferma. Scrive la Cassazione: «In tale contesto ben si inserisce il patto politico-mafioso connesso alla vicenda della candidatura di Ridosso Andrea, rifiutata dall’Aliberti a causa del cognome ingombrante, che poteva nuocergli, accettando il sostegno elettorale da un candidato meno compromettente, sconosciuto, “a zero voti”, individuato dal Loreto e dai Ridosso, Luigi e Gennaro, nel Barchiesi, parente della moglie del Loreto, non legato al clan ed estraneo alla politica, in cambio della promessa di appalti». Per gli ermellini poi, sussiste l’aggravante mafiosa ipotizzata dal pm Montemurro e confermata dal Tribunale del Riesame, mentre da approfondire e ridiscutere l’esigenza della misura cautelare perché «la custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, con conseguente inapplicabilità di tale misura coercitiva alla condotta delittuosa indicata». Inoltre, aggiunge ancora la Cassazione «Il Tribunale dovrà rivalutare il giudizio cautelare sia in punto di sussistenza che di attualità e concretezza delle esigenze cautelari sia di scelta della misura, tenendo conto delle dimissioni nel frattempo rassegnate dall’Aliberti e degli altri elementi indicati dai ricorrenti in ordine alla concretezza e attualità del pericolo di reiterazione». Quindi, per la decisione dello scorso 7 marzo, «le ragioni illustrate l’ordinanza impugnata va annullata limitatamente alle esigenze cautelari nei confronti di Ridosso Gennaro, Ridosso Luigi e Aliberti Angelo Pasqualino con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Salerno».

 

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