Privacy, ecco come non cadere nella rete

224
Advertisement

Succede, e succede spesso (tranne il terzo punto, che sfiora la fantascienza), tanto da spingere molti a domandarsi non solo come sia possibile, ma anche se i nostri smartphone e computer siano in grado di spiarci, guardarci, ascoltarci a nostra insaputa. O addirittura leggerci nel pensiero.

Il dubbio torna ciclicamente, non solo nelle persone comuni, ma pure nei governanti, tanto che l’anno scorso, sulla scia dello scandalo Cambridge Analytica, il Senato americano ha chiesto al co-fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, se il social network sia in grado di spiarci attraverso i microfoni dei telefonini. Lui ha risposto di no, che di per sé non vuol dire molto (non sarebbe la prima volta che uno dei colossi della Rete mente a un governo), se non per il fatto che è la stessa risposta cui sono giunti alcuni esperimenti condotti anche di recente.

Come quello di Wandera, una società che si occupa di cybersicurezza proprio sui dispositivi mobili: hanno messo due smartphone (Apple e Android) prima in una stanza in cui si sentivano pubblicità di cibo per animali e poi in una silenziosa, rilevando che la quantità di dati in entrata e uscita dagli apparecchi era pressoché identica. E pure bassissima, soprattutto se confrontata con quella che passa dai telefonini quando usiamo la voce per interfacciarci con gli assistenti virtuali come Siri e Google Assistant: insomma, se dal nostro smartphone venissero inviate registrazioni verso chissà quale server nascosto chissà dove, questo trasferimento di dati dovrebbe essere percepibile.I nostri telefonini non ci spiano, dunque? David Gubiani, responsabile per il Sud Europa di Check Point Software, una compagnia israeliana attiva nella cybersecurity, la pensa diversamente: «Lo fanno eccome, ma per l’80% è colpa nostra, che installiamo app senza controllarne la provenienza, anche da negozi online non verificati, magari pure dando loro il permesso di accedere a microfono e fotocamera, senza leggere le condizioni che stiamo accettando». Il problema è che i moderni smartphone hanno in effetti tutto quello che serve per tenerci sotto controllo, dal microfono alle telecamere, al gps che traccia la nostra posizione in tempo reale; oltre al fatto che attraverso di loro passa tutta la nostra vita: «Conti in banca, immagini, mail, contratti, chat che dimostrano che stiamo tradendo il nostro partner – ha ricordato Gubiani – e però la prima cosa cui pensiamo quando ne compriamo uno nuovo è quale cover sc

Comunque, il punto non è se analisti e pubblicitari registrano le nostre conversazioni di nascosto per conoscere tutto di noi: sanno talmente tanto che non hanno bisogno di registrare le nostre conversazioni di nascosto. Ma come fanno le aziende a sapere cosa pensiamo di comprare? Come fa Facebook a conoscere quale modello di Nike vorremmo e proporcelo in un banner? Come fa Amazon a consigliarci esattamente quel televisore di cui abbiamo parlato con un collega? Escludendo le app malevole, create appositamente per rubare le nostre informazioni, ci riescono controllando quello che facciamo online e nel mondo reale, in modi più o meno leciti e più o meno trasparenti.

Innanzi tutto, con i cookie, quei file di testo che abbiamo imparato ad accettare ogni volta che navighiamo: nella versione più semplice tengono traccia delle nostre preferenze per un determinato sito (è grazie ai cookie che nei risultati di ricerca su Google i link alle pagine già visitate sono colorati di viola invece che di blu, per esempio), ma possono arrivare anche a contenere informazioni sulla nostra intera cronologia di navigazione.

Poi, con la funzione “login con…”: quando accediamo a un sito non creando una password specifica per registrarci, ma usando il nostro account su Facebook o Google, spesso quel sito ottiene così anche informazioni sulla nostra mail, magari sulla nostra posizione nel mondo, sui nostri amici e contatti sui social network. Ed è così che inizia la “profilazione”: per esempio, un negozio online, oltre a tenere traccia (attraverso i cookie) di cosa facciamo sulle sue pagine, dei prodotti che guardiamo, mettiamo nel carrello e poi non acquistiamo, viene anche a conoscenza, grazie a “login con…”, del nostro nickname sui social, di dove abitiamo e della nostra mail, così può poi mandarci o farci comparire comunicazioni mirate proprio su quegli oggetti che potrebbero interessarci. Il pop-up della funzione “login con Facebook” sul sito del Daily Mail (ma vale per moltissimi altri): invece di cliccare subito su “Continua”, meglio controllare quali informazioni stiamo fornendo

Infine, con il cosiddetto “Facebook Pixel”, una parte minuscola delle pagine di tantissimi siti di tutti i tipi e di tutto il mondo, che insieme con i più evidenti pulsanti “like” e “condividi” permette al social network di Zuckerberg di tener traccia di quello che facciamo online, anche seguendoci da un sito all’altro: quali articoli leggiamo, quali video guardiamo, su quali immagini clicchiamo, quali argomenti ci interessano e così via. Tutto questo viene usato per tracciare il nostro identikit di consumatori, che poi si traduce in pubblicità incredibilmente precise non solo su Facebook, ma pure su Instagram (che a Facebook appartiene).

Advertisement