Nocera Superiore, l’infinita tradizione della Madonna Bruna di Materdomini

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E’ un carosello di carri, si cui troneggia l’icona della Madonna di Materdomini che i fedeli venerano da secoli. Così l’antico rito religioso diventa festa; tutto intorno alla Basilica di mangia la tradizionale “palatella”. E’ uno spettacolo che attrae a Materdomini anche chi non è devoto; insomma una festa straordinaria, ricca, barocca, di un Sud che non vuole perdere la sua identità, che accoglie tutti celebrando la Vergine Maria.

Quella della Madonna Bruna di Materdomini del 15 agosto è tra le feste religiose del salernitano che conserva ancora forti i segni di un’antica tradizione di devozione. La leggenda narra che la Vergine apparve in sogno a una contadina di nome Caramari, invitando i fedeli a scavare in un punto ben preciso, sotto a una quercia: proprio lì sepolto fu ritrovato il quadro di una Madonna con bambino e così, nel 1061, fu eretta la basilica in suo onore.

Già dalla vigilia, al Santuario di Nocera Superiore, i pellegrini arrivano da ogni parte della Regione con carri, toselli addobati con fiori, nastri, fiocchi. Giungono alle prime ore della vigilia e per tutta la notte, cantano inni sacri popolari e recitano il Santo Rosario. Le danze mantengono svegli e le preghiere di mischiano con le tammorre e il tutto diventa una liturgia arcaica.

La Basilica è custodita dal Frati Minori Francescani e il rettore è il reverendo padre Valerio Molinaro. Da alcuni anni la celebrazione della Santa Messa delle 5,30 del mattino è presieduta dal vescovo della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, monsignor Giuseppe Giudice ed è concelebrata da molti frati e parroci della forania di Nocera Superiore. Il vescovo assiste all’attivo dei toselli di Nocera Inferiore, Pagani, Angri, Scafati, Pompei, dalla stessa Nocera Superiore e dalla vicina Roccapiemonte, da molti paesi vesuviani e dalle diverse zone del Cilento, dal salernitano e dalla provincia di Avellino.

Come raccontato nel romanzo Ninfa Plebea di Domenico Rea, questa festa religiosa uniscesacro e profano: «…sarebbe stato difficile tenersi uniti tra la folla della chiesa e quella che si agitava all’esterno sparsa tra le bancarelle dei venditori di per’ e ‘o musso, di pagnotte imbottite di latte cagliato, lumachine del grano condite con aglio, bancarelle di venditori di ‘mpupata».

Sacro, profano e culinario. Fra preghiere, tammorre e danze tradizionali, arriva l’ora di gustare la palatella con la ‘mpupata. Si tratta di un piatto povero, preparato con un filone di pane dalla forma particolare: le estremità sono due nodi che lo rendono simile a una caramella. Originariamente alla vigilia dell’Assunzione non si mangiava carne: i contadini in pellegrinaggio verso il Santuario portavano con se questa sorta di pagnotta, farcita con due semplici ingredienti. Il ripieno si chiama ‘mpupata ed è composto da melanzane sottaceto condite con origano, aglio e peperoncino e alici di Cetara sotto sale. Una combinazione fra terra e mare che garantisce un pasto sostanzioso e saporito.

Ancora oggi la palatella tradizionale viene preparata appositamente in questo modo, non soltanto in occasione della festa religiosa. Irrinunciabile in particolare fra il 14 e il 15 del mese, durante le tipiche rimpatriate di famiglia, ma anche come pranzo al sacco da portare in spiaggia. In abbinamento non può mancare una bella brocca di vino con le percoche e in conclusione, per rinfrescarsi dal caldo estivo, o mellon e fuoc(melone di fuoco), ovvero l’anguria.

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