Morte all’Università, in un post dolore e rabbia

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«Vedi Unisa e poi muori ». E’ il titolo dato al post che Sofia Santosuosso, studentessa, ha scritto su Facebook dopo la morte della 30enne originaria di Centola:

“Università di Salerno, tragedia al Campus: studentessa cade dal multipiano e muore”. Titolo di un articolo del Mattino di pochi minuti fa. Cadere, però, non è il verbo adatto. La pioggia cade, la neve cade, le foglie cadono. A scuola, per spiegarci la forza di gravità, ci raccontano la storiella di Newton: stava seduto sotto a un albero quando gli cadde una mela in testa. Allora si accorse che gli oggetti cadono perché esiste una forza, la forza di gravità, che ci mantiene saldi al suolo e ci fa ritornare sui nostri piedi quando saltiamo e fa finire a terra le mele che cadono dagli alberi. Una studentessa che “cade” dal parcheggio del multipiano è una studentessa che decide di cadere dal parcheggio del multipiano. Anche l’anno scorso uno studente “cadde” dall’alto della biblioteca scientifica; ora che ci penso, successe la stessa cosa due anni fa. Parlando con i miei compagni, ci rendiamo conto che, in effetti, è diventato abbastanza comune per gli studenti del campus di Fisciano decidere di cadere; succede ogni anno, anche due o tre volte. Una mia amica ha usato la parola “normale”.

Decidere di cadere dal parcheggio del multipiano significa suicidarsi, e non dovrebbe essere normale. Forse suicidarsi è un verbo che fa paura ai piani alti dell’università, il rettore e la sua corte: restano in silenzio mentre una loro studentessa decide di farla finita proprio nel luogo che dovrebbe essere l’opposto della morte. Il tonfo è un rumore che stride parecchio con le fanfare del “primo ateneo del Sud”. Così, mentre i miei compagni muoiono, il brand Unisa viene venduto in tutto il mondo come produttore di innovazioni e ricerca, riceve fondi per investire nel suo splendore e creare più talenti. Ovviamente, il talento va di pari passo col merito. Ogni anno, infatti, l’Università di Salerno restituisce i soldi delle tasse universitarie a quegli allievi meritevoli che riescono a finire tutti gli esami dell’anno accademico entro febbraio del semestre successivo: la cerimonia si chiama “Unisa premia il merito”. Chi non ha il merito diventa un costo e i costi pesano (forza di gravità).

Il merito ci chiama a una corsa frenetica per raggiungere il traguardo in tempo: nessuno scommette sui cavalli lenti. La nostra università ci allena come cavalli da corsa che devono arrivare alla meta nel minor tempo possibile, per scalare le classifiche da record e riscuotere le scommesse che sono state fatte sulla nostra pelle. Mentre una ragazza si uccide, Unisa continua a vivere in silenzio, con le biblioteche sempre piene, i capi chini sui libri e il viavai nel bar: si può fingere che non sia mai successo. C’è tanto clamore alle elezioni universitarie, alle file per eleggere una faccia o l’altra al senato accademico: alla morte segue solo un gran silenzio. Il rettore non ha indetto nemmeno la chiusura dell’ateneo, nemmeno un momento di riflessione per capire come combattere i mostri di un ventenne che sceglie la morte in un luogo di vita. Unisa può continuare a vantarsi di essere la prima università del sud con un servizio di ascolto psicologico praticamente inesistente. Intanto i fondi continueranno ad arrivare per le cose che contano davvero e la notizia di una morte sarà soffocata dalle raggianti ouvertures di titoli sulle classifiche, le innovazioni, i trionfi. Noi studenti, semplicemente, sceglieremo di non farne parte.

 

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