La vita nei canili e al di fuori di essi. Tratto dal libro “Alfa, questa sconosciuta”

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“Alfa, questa sconosciuta” di Barbara Tullio e Paolo Caldora.

I canili luoghi di fortuna, alcuni, dove chi si occupa degli ospiti lo fa con coscienza, amore e buona fede loculi speculativi, altri, dove a differenza dei primi, l’unico interesse è il guadagno. Tralasciando il triste accenno, andiamo ad occuparci delle problematiche di un cane che vive in un canile.

Cominciamo con l’elencare i soggetti tipo che finiscono nei canili. Cuccioli provenienti da accoppiamenti fortuiti o voluti dai proprietari, incoscienti, dei genitori delle creature. Dico e, sottolineerei, incoscienti, perché questi accoppiamenti sono dati o dalla mancanza di attenzione durante l’estro delle femmine o dal desiderio di avere un figlio del soggetto o dei soggetti, già facenti parte della famiglia.
Incoscienti nel senso di “senza coscienza” perché, non si può pensare con superficialità alla procreazione. Senza toccare il tasto delle compatibilità genetiche dei futuri genitori, guardiamo la parte pratica della questione: dove finiranno tutti quei cuccioli una volta svezzati?… da amici, parenti, amici di amici, parenti di parenti, personaggi occasionali che occasionalmente in quel momento passavano di là?… e chi vi dice che tutte queste persone si occuperanno della creatura con coscienza?… nessuno… ma tanto a voi che ve ne importa, avete il vostro erede, oppure vi siete sbarazzati dei figli di nessuno portandoli di nascosto in un canile. Questi cuccioli cresceranno in un luogo diverso dalla città, per cui se non verranno adottati per tempo, rimarranno deficitarii di alcune esperienze fondamentali per una vita sociale. Non conosceranno: il guinzaglio, il fare i bisognini in giardino o comunque in un luogo che non sia l’appartamento, la pavimentazione di una casa, l’aspettare buoni il ritorno del proprietario, il rumore dell’ascensore, le scale, le biciclette per strada, le macchine, il tram, i bambini che urlano e corrono, il non abbaiare per qualsiasi cosa, il non ringhiare sulla ciotola per difenderla dagli altri affamati, e via, via tutto ciò che può venirvi in mente di quel che di diverso da una gabbia da dividere con chissà chi, può esistere.

Cuccioloni che non possono più stare in famiglia perché quella famiglia trasloca e vuoi mettere anche l’impiccio di un cane fra tutte le cose che ci sono da fare durante un trasloco, per non parlare della difficoltà di trovare un appartamento che possa ospitare un cane! certamente una brandina di un metro quadro occupa molto spazio, per non parlare di una ciotola e di un guinzaglio!

Adulti che, non sopportando più le stralunatezze dei proprietari, dopo ripetuti avvertimenti hanno detto “no”. È facile incolpare il prossimo delle proprie malefatte, soprattutto se il prossimo è un animale che non può spiegare le sue motivazioni nella lingua di chi lo ha offeso (nel senso di arrecare un’offesa, un torto, un danno, un oltraggio).

Anziani che hanno osato vivere troppo a lungo…

Le razze?
Tutte e non. Soprattutto razze di moda e i non-blasonati. Questo perché le persone vanno a gusto corrente, a seconda del lato dove tira il flusso, vanno. Il male di ciò, sta nel fatto che, non conoscendo la razza o i geni dominanti nel fantasy in oggetto, non sanno come comportarsi, non sanno che tipo di educazione dare alla new-entry. E soprattutto non sanno che, accogliere un cane in famiglia, vuol dire “per sempre”. Finché sono alle prese con il cucciolo, grossi problemi non ne hanno, ma basta arrivare ai sei-sette mesi di età, età in cui la creatura si irrobustisce e muta il tono della voce, che già le paure attanagliano i neo-precettori. Abbiamo così, il canetto che fino a quel momento ha potuto ringhiare sulla ciotola con un tono infantile, messo a punto il nuovo timbro di voce, renderà isterico dall’angoscia il proprietario. Morale? Se non sarà corretta l’educazione di tutto il branco, il cucciolone ora o l’adulto più tardi, finirà ingabbiato e dimenticato.

Arriviamo dunque ai problemi che un cane, appartenuto ad una famiglia, può avere.
Il più comune, l’insicurezza e tutto quel comporta. Immaginate: la solita uscita, il guinzaglio, la macchina che non porterà al parco o in gita dai nonni, ma in un carcere e senza capire il perché, il vostro cane si ritroverà rinchiuso in gabbie allineate, piene di altri carcerati che gli urlano contro – chissà che cosa – e quel cagnetto, che fino a un momento prima, aveva vissuto in un appartamento, assecondato nelle sue volontà, cosa può pensare?… e voi, come vi sentireste al suo posto? I soggetti positivi, gli estroversi, i buontemponi se ne faranno una ragione – forse – ma gli altri?… cominceranno a vivere lo stress di una vita lontano dal luogo che fino ad allora era stato il loro regno, soffriranno la solitudine per la lontananza dal proprio branco – per un cane non ha importanza se il branco a cui appartiene è composto da suoi simili o da uomini, per lui, ciò che importa, è che siano esseri rispettosi della legge del branco – se fino ad allora non hanno conosciuto la vita fra i conspecifici, non sapranno come relazionarsi, se non incontreranno delle persone disposte ad aiutarli nel loro martirio, si indeboliranno a tal punto da correre il rischio di morire. Ma prima di arrivare alla fine, passeranno da una serie di sofferenze e malattie psico-fisiche. Se non accetteranno quella nuova vita, i primi segnali di sconforto li avremo nella perdita di appetito, quindi nel dimagrimento, oppure, nella non perdita di appetito ma nel mal assorbimento del cibo e quindi, nel dimagrimento; il dimagrimento porta ad una debolezza fisica e ad un indebolimento delle difese immunitarie, per cui il soggetto sarà facile preda di virus e batteri, che aggraveranno la sua situazione. Ora, se il cagnetto si lascerà curare, un minimo di speranza di ripresa ce l’ha, ma se invece, la sua insicurezza lo porterà ad una diffidenza aggressiva, il destino non gli sarà benevolo. Se non sarà per il nutrimento, il problema può affacciarsi solo nella psiche, potremo vedere allora, cani con lo sguardo fisso nel vuoto, alla ricerca di un rifugio dalla realtà.

Un cane cresciuto in canile.
Per lui niente divani e niente spuntini a scelta.
Nella migliore delle ipotesi è arrivato in canile nel cartone assieme ai fratelli e sorelle, e come nelle famiglie selvatiche, da loro acquisirà la sua forza. Il suo mondo sarà circoscritto alle quattro pareti della gabbia; conoscerà esclusivamente i rumori e gli odori del luogo; se non avrà accanto (lui e la sua famiglia), una persona che si impegnerà a fargli indossare un collare, per esempio, o a fargli conoscere una pavimentazione diversa da quella del suo recinto, o le scale o le macchine, tutto quel che di nuovo, un giorno, gli si presenterà dinnanzi, sarà causa di forti traumi psicologici, per non parlare dell’allontanamento dal suo clan.
Probabilmente, una sorte meno violenta la avrà un cucciolo arrivato in solitaria, perché non conoscendo nessuno, non avendo punti di riferimento, avendo già vissuto il distacco dal proprio branco natio, dovrà sbrigarsi a crescere. (Ha bruciato le tappe). Ma quanto sarà dura all’inizio? Dipende dal carattere; se il soggetto cela in sé, un cane saldo di nervi e di buon temperamento, farà presto a capire come funzionano le cose; imparerà con facilità il rispetto verso gli altri e il farsi rispettare a sua volta; e quando verrà adottato (un giorno, forse!) non patirà più di tanto, il commiato. Logicamente anche per lui vale l’ipotesi che un’anima pia si sia presa la briga di gettargli addosso, le basi di una vita nella ‘civiltà umana’.

Alcuni atteggiamenti che posso essere identificati come fattori di stress da canile, oltre al dimagrimento per non assimilazione, sono: leccamenti, auto-lesionamenti, ciotole in bocca o accartocciate, abbaio continuo, corse senza senso, isolamento, ridirezione dell’aggressività su conspecifici, ciotole, coperte, umani, guinzagli.

La noia, la solitudine, la mancanza di un contatto con un membro della famiglia, l’incapacità di accettare una vita diversa da quella vissuta fino ad un attimo prima, l’inadattabilità alle sbarre della cella… possono portare un cane a ricercare in se stesso un intimo calore. Attribuisco l’eccessivo auto-leccamento ad un esagerato bisogno di attenzioni. Non potendo ricevere da altro essere vivente una considerazione così intima, il soggetto cerca un’auto-gratificazione. A volte questo smodato godimento, porta alla lacerazione della parte. La ferita sarà causa di maggior attenzione, e il cane può giungere all’auto-mutilazione cercando di sanare quella stessa ferita o per eliminare il problema.
Un altro esempio di auto-gratificazione è il giocare a rincorrersi una zampa posteriore o la coda e una volta presa, l’una o l’altra, giocarci a tira e molla. La coda può rimanere ferita anche per l’eccessivo dimenarsi. Se il soggetto, sempre per una richiesta di attenzione rivolta: a chi passa, al compagno della cella accanto, o solo per ingannare il tempo, oscilla la coda che accidentalmente urta la parete, e ciò avviene in maniera ripetitiva, questa si lederà e il continuo ferimento farà si che la lesione non possa guarire. Nella maggior parte dei casi la coda viene amputata. Altri soggetti possono manifestare la loro disapprovazione scaricando aggressività sugli oggetti che hanno a disposizione: ciotole, cucce, sbarre riducendoli ad ammassi informi di ferro o in segatura… oppure ridirezionando il loro disappunto, il loro disagio, sullo sfortunato compagno di prigione o sul guinzaglio del ‘portantino’ di turno.
Se invece non è aggressività a manifestarsi (o non solo aggressività), ma temperamento, capacità di crearsi uno stimolo esterno, le ciotole e le cose movibili a disposizione saranno raccolte, tenute ben serrate in bocca e portate poi in giro in bella mostra, in giro fra le quattro pareti della cella: oggetti autistici. Oppure sarà una corsa senza senso ad accompagnarli nella routine della giornata: cerchi rapidi sul posto, spostamenti veloci da una parte all’altra del box, giri concentrici effettuati su tutto il perimentro della cella. O ancora sarà l’abbaio a tenergli compagnia. Ho visto – e sentito – cani abbaiare per ore, pur di richiamare l’attenzione di qualcuno; arrivati ad un certo livello di non sopportazione della situazione, a questi soggetti non interessa neanche se la considerazione che ne possono trarre da un simile comportamento sia positiva o negativa, l’importante è essere considerati; l’abbaio per tenersi compagnia ha una tonalità diversa, non è acuta, non è aggressiva, non frenetica e non è incessante, è ritmata come la goccia d’acqua che cade dal rubinetto che ha la guarnizione rotta.
Oltre a queste manifestazioni attive, se ne può notare una meno appariscente ma altrettanto pericolosa: l’isolamento dalla realtà. Il soggetto rifiuta ogni forma di comunicazione con l’esterno, si chiude in un angolo assumendo una posizione di terra, il muso rivolto verso la parete, le mani chiuse all’interno sotto lo sterno… inutile chiamarlo… non vi sentirà. Dopo queste poche riflessioni, non è difficile capire l’importanza, per un cane, di appartenere ad un branco-famiglia, di sentirsene parte integrante.

Una vita vissuta in equilibrio, nel rispetto delle parti, rende comprensibile la parola armonia.

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