La Riflessione – Comunicazione, ma anche divulgazione

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Nel 2018, una ricerca della società britannica Ipsos Mori mise in luce il fatto che gli italiani fossero il popolo più ignorante in Europa, soprattutto per quanto riguarda la percezione dell’attualità. Causa principale del record negativo è la cattiva informazione televisiva che distorce la comune percezione della realtà con false notizie e con alcuni programmi televisivi che si sono dimostrati capaci di far sorgere bisogni fittizi, distruggere le diversità locali, svuotare di significato culture con centinaia di anni alle spalle e, soprattutto, di incattivire il telespettatore. Ma non era questa l’anima del “grande progetto televisione”!

In molti hanno sostenuto, non senza un pizzico di ironia, che la vera unità del paese sia merito di Mike Bongiorno e non di Garibaldi o Cavour, grazie alla sua trasmissione “Lascia o raddoppia?”. Fu il programma del Mike nazionale a diffondere e a far conoscere la lingua italiana anche a quella  parte della popolazione che ancora negli anni Cinquanta si esprimeva solo con il dialetto. Pochi anni dopo, dal 1960 al 1968, arrivò il programma “Non è mai troppo tardi”: il maestro Alberto Manzi insegnava le nozioni base dell’italiano a coloro che non le avevano apprese e, avendo superato l’età scolare, non avevano altre opportunità.

Questa era la “Televisione Nazionale”: strumento di inclusione e coesione sociale.

Le cose cambiarono in maniera sostanziale con l’avvento delle televisioni private. Dovendosi sostenere con i soli proventi pubblicitari, queste cominciarono a tener conto soprattutto degli indici di ascolto, non sempre legati alla qualità di quanto messo in onda. Le stesse reti nazionali, inseguendo le televisioni commerciali su questo terreno, hanno abbassato il livello culturale dei propri programmi. Per avere la conferma di quanto il pubblico si sia adeguato basta guardare una puntata dei programmi a maggior audience, che basano il loro successo sul sadismo del telespettatore, pronto ad assistere divertito alle performance grottesche dei partecipanti. La volontaria umiliazione dei concorrenti raggiunge il livello più basso andando a toccare la questione della privacy, ancora più minacciata con l’avvento della società dello spettacolo. In tal senso, nel campo dei talk show, si toccano i limiti dell’inverosimile: personaggi famosi o aspiranti tali rivelano retroscena intimi della loro vita privata e se questo non bastasse ad ottenere uno scoop importante da gettare in pasto all’opinione pubblica, possono arrivare a proporre una storia inventata di sana pianta.

Sul lungo periodo questo impoverimento intellettuale degli spettatori può avere un effetto grave sull’intera società, secondo quanto sostiene il filosofo austriaco Karl Popper, che da giovane aveva collaborato con lo psicoanalista Alfred Adler. Con lui si era occupato, per conto della Società di psicologia individuale comparata, di bambini con difficoltà di apprendimento: da questa esperienza ebbe origine il suo interesse verso le problematiche educative arrivando a proporre “una patente per fare la televisione”. Le ragioni di questa presa di posizione, che potrebbe assomigliare alla volontà di censura, si trovano nel suo saggio Cattiva maestra televisione del 1994. La provocazione lanciata nello scritto è giustificata dalla volontà di Popper di tutelare la libertà dei singoli e il benessere delle loro menti.

Egli, infatti, attribuiva alla televisione la capacità di agire in maniera inconscia sul pubblico, imponendo modelli di riferimento e gusti individuali e spingendolo ad adeguarsi in modo passivo a certi standard di opinione e di comportamento. Il filosofo era convinto che attraverso programmi diseducativi il sistema televisivo fosse in grado di aumentare nella società il numero di casi in cui si ricorresse alla violenza, provocando «una perdita dei sentimenti normali del vivere in un mondo bene ordinato in cui il crimine sia una sensazione eccezionale». Il meccanismo si aggrava nel caso dei giovani che, essendo più influenzabili, rischiano di confondere la finzione con la realtà, cedendo a una visione irreale della vita. Inutile sottolineare la percezione distorta della “vita reale” che queste trasmissioni generano in tali utenti; personalità delicate in formazione, cui viene distorto l’universo dei valori, delle emozioni, degli affetti  e alterata la  percezione del sé presente e futuro.

La capacità del mezzo televisivo di anestetizzare lo spirito critico e di addormentare le masse diventano per Popper anche uno strumento di controllo politico, in grado di minare alla base lo Stato di diritto: «Ora è accaduto che questa televisione sia diventata un potere politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parlaE così sarà se continueremo a consentirne l’abuso. Essa è diventata un potere troppo grande per la democrazia. Nessuna democrazia può sopravvivere se all’abuso di questo potere non si mette fine. Credo che un nuovo Hitler con la televisione avrebbe un potere infinito», ha scritto il filosofo.

La proposta di Popper di rilasciare un’autorizzazione specifica alla fine di un corso per responsabilizzare i produttori televisivi, e renderli consapevoli del loro ruolo di educatori, è dovuta alla consapevolezza che spesso gli autori sacrificano la qualità dei loro prodotti per l’audience. Non vuole dunque limitare la libertà, ma preservarla dal totalitarismo televisivo, molto più complesso ed efficace di quelli conosciuti fino a ora nella storia.

Come predetto da Popper, la televisione sta davvero inebetendo gli spettatori e la scellerata strumentalizzazione politica che si compie dei mezzi di comunicazione, inclusi i canali social, che acuiscono e favoriscono la diffusione “dell’analfabetismo funzionale” e della “disumanizzazione” delle masse, sta seriamente compromettendo le basi della nostra democrazia..

La scuola, in questi casi, non può essere la sola soluzione. Ora più che mai abbiamo bisogno di un nuovo Alberto Manzi. Ne perderà in audience forse, ma ci guadagneranno gli italiani!

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