In nome del Popolo Italiano a luci rosse, ecco i risvolti dello scandalo

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Prestazioni sessuali, 16 quelle documentate, con un avvocato per porre in essere atti contrari ai doveri del suo ufficio. E’ quanto emerso dalle attività di indagine della guardia di finanza che hanno portato all’arresto del presidente della II sezione presso la Corte di Assise di Appello di Catanzaro. Secondo il gip del Tribunale di Salerno Giovanna Pacifico, il magistrato avrebbe intrattenuto “relazioni sessuali abituali con un avvocato, omettendo di astenersi, avendone l’obbligo (…) dal comporre il Collegio giudicante nei ricorsi tributari – assegnati al suo collegio – nei quali il ricorrente parte privata era patrocinato dall’avvocato nell’adottare sentenze di accoglimento di ricorsi presentati dalla professionista”. Gli incontri sessuali, tutti tra il 13 febbraio e il 21 giugno 2019, sarebbero avvenuti secondo gli inquirenti negli uffici della Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro.Soldi, sesso e altre “utilità” per addomesticare le sentenze. E’ un quadro inquietante quello svelato dall’inchiesta della Dda di Salerno che ha portato all’arresto, con l’accusa di corruzione in atti giudiziari, di Marco Petrini, presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro e della Commissione tributaria provinciale. Oltre al magistrato sono sette le altre persone raggiunte dall’ordinanza di custodia cautelare, sei in carcere e una ai domiciliari, emessa dal gip del tribunale di Salerno su richiesta della Dda della città campana guidata dal Procuratore facente funzioni Luca Masini ed eseguite da personale del Nucleo di polizia finanziaria della Guardia di finanza, dallo Scico e da altri reparti delle Fiamme gialle. Riserbo sulle altre persone coinvolte nell’inchiesta, partita dal 2018. Sono coinvolti due avvocati calabresi, uno del foro di Catanzaro, finito in carcere, e l’altro di Locri, ai domiciliari. Personaggio chiave dell’affaire”, oltre a Petrini, era un insospettabile medico in pensione, ex dirigente dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, che, secondo quanto emerso, “stipendiava” mensilmente il magistrato per garantirsi il suo asservimento e, nel contempo, gli procurava nuove occasioni di corruzione proponendo a imputati in primo grado o loro parenti e a privati soccombenti in cause civili, decisioni favorevoli in cambio di denaro, beni e altri servigi.

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