LA RIFLESSIONE – Il rifiuto dei rifiuti

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Nella società odierna lo smaltimento dei rifiuti è divenuto un problema che impone risposte tempestive e risolutive.

Le città, grandi o piccole, presentano situazioni davvero imbarazzanti e preoccupanti per la salute igienico sanitaria dei cittadini, che sempre più spesso si vedono costretti a convivere con ammassi di spazzatura maleodorante e infettiva.

Il fattore culturale è fondamentale per sostenere iniziative che contrastino la sciatteria che spesso è solita ravvisarsi nei soliti comportamenti che escludono ogni buona regola di civiltà.

Il conferimento di rifiuti nei giorni stabiliti, spesso non è rispettato, come l’orario di posizionamento negli appositi siti, e ancor più plateale risulta essere l’abitudine di liberarsi di carte, tovaglioli e ogni genere di rimasugli, lasciandoli scivolare sui marciapiedi con naturalezza.

La criticità della situazione è sempre più imponente, e nessun monito sembra ottenere risultati che dimostrino un cambiamento negli atteggiamenti di alcuni che, inevitabilmente, si ripercuotono su tutti.

Nel passato gli scarti come venivano gestiti?

Fino a quando l’uomo è stato nomade e la sopravvivenza si è basata sulla caccia, il problema della raccolta e dello smistamento dei rifiuti non è esistito.

Nel Neolitico, con la nascita dell’attività nei campi, iniziò a porsi il problema di raccolta degli scarti della coltivazione.

L’attività agricola dell’uomo che da girovago diventò stanziale, pose il problema dei rifiuti.

Nel libro del divulgatore scientifico e giornalista Lorenzo Pinna dal titolo “Autoritratto dell’immondizia”, Bollati Boringhieri, presentato nel 2011, si afferma che il consequenziale accumulo di scarti ha determinato quella che veniva definita la “città pestilenziale”, intesa come un centro urbano nel quale nessuna attenzione veniva prestata al raccoglimento e alla differenziazione degli scarti umani e da quelli provenienti dai siti artigianali, che emanavano persistente fetore.

Un primo tentativo di migliorare le condizioni igieniche dei luoghi condivisi nelle città, si ebbe intorno all’anno 1000 dopo la caduta dell’Impero Romano con i continui spopolamenti dovuti alla crisi, e consisteva in ordinanze, che oggi si definirebbero “stravaganti”, che consentivano il lancio di orinali in orari stabiliti della notte, preceduti da grida che avevano lo scopo di avvisare l’imminenza dell’azione; e successivamente, con l’indicazione dell’obbligo di mantenere puliti i mercati, i canali, i pozzi, le chiese.

I nomi antichi delle strade, osservabili ancora oggi in alcuni borghi medievali e non solo, testimoniano il tentativo di allocare in specifiche zone attività commerciali specifiche come le concerie, le macellerie, le falegnamerie, per distinguerle da quei luoghi dove c’era la maggiore concentrazione di abitazioni o di strade principali.

È con la Rivoluzione industriale che le cose cambiarono nelle città, basti pensare a Londra che divenne una metropoli con una popolazione numerosa e innumerevoli attività industriali. Nel fiume cittadino, il Tamigi, confluirono tutti gli scarichi che ne determinarono l’inquinamento; fino agli inizi del 1800 la situazione dei pozzi urbani risultava ancora accettabile, ma successivamente salvaguardare le condizioni igienico sanitarie, divenne molto difficile.

Se da un lato, l’invenzione del water e dei tubi di ghisa, migliorarono le condizioni igieniche personali, ben diversa apparve la situazione per la sanità pubblica, che in mancanza di un sistema fognario moderno, vide l’insorgere di epidemie devastanti, tra cui il colera.

Nella cultura pre-industriale, è interessante notare la presenza di un atteggiamento favorevole all’idea del riciclo, sicuramente sostenuta dalle condizioni di estrema povertà della popolazione. L’avvento del consumismo contribuì a modificare questo stile comportamentale.

Il boom economico dello scorso secolo, non ha fatto altro che contribuire alla formazione dell’idea che i rifiuti sono qualcosa da allontanare; l’ingenuità è stata sempre quella di pensare all’ambiente come ad un’immensa discarica in grado di contenere qualsiasi scarto e di qualsiasi natura.

Nel Paese, le scelte politiche sono state differenti e, per questo, alcune regioni sono risultate più virtuose delle altre.

L’esempio dell’Emilia Romagna è quello più evidente: il rifiuto è stato considerato reinseribile nel ciclo produttivo.

Già negli anni ’70 le municipalizzate, presenti sul territorio, prima delle indicazioni della Comunità Europea, iniziarono a differenziare i rifiuti procedendo all’attuazione di quello che si definisce “compostaggio”.

L’idea dello smaltimento in discarica, unica alternativa fino a 40 anni fa, è oggi considerato obsoleto dalla stessa UE; l’uso dei termovalorizzatori e la sostenibilità di tutte le innovazioni tecnologiche siglate come green l’obiettivo da raggiungere.

Il passato sembra delineare una maggiore consapevolezza in chi ci ha preceduto, nei confronti delle ripercussioni che le scelte imposte dai cambiamenti sociali hanno generato. Siamo ancora obnubilati dall’idea di essere i predatori del mondo senza la consapevolezza di dover pagare un prezzo, anche molto caro.

È ora di cambiare!

 

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