Fiume Sarno, il viaggio inchiesta e la tristissima realtà che al momento supera la speranza

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Il Fatto Quotidiano ha raccontato l’emergenza ambientale rappresentata dal fiume Sarno, un viaggio tra le zone attraversate dal fiume tra le province di Napoli e Salerno. Il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa risponde all’inchiesta: “Il fiume Sarno è grave ma si può salvare”. Una linea lunga e nera sulla mappa vesuviana, fatta di acque torbide, rassegnazione e destini degli uomini che abitano sulle sue rive: è il Sarno, il quarto fiume più inquinato al mondo e il primo in Europa. Ecco l’inchiesta de Il Fatto Quotidiano. A Sarno, tra i pali arrugginiti di un cartello bianco che informa che una scuola sarebbe dovuta essere costruita entro il 2018, ci sono file di pomodori e una donna di ferro. Doveva nascere un istituto agrario in questa terra che Lia Corrado adesso coltiva. Era diventata una discarica abusiva prima che le autorità le concedessero di ripulirla per produrre pomodori che vende nella sua azienda biologica. Era una stilista prima di togliersi i vestiti della festa e mettere quelli da contadina. Si tocca la fronte con le mani nere, sogna di costruire un chiosco quando del fiume si tornerà a vedere il fondale. “Inquinati sono gli affluenti, Solofrana e Cavaiola”.

Mentre l’edera è cresciuta nel corso degli anni sui faccioni dei manifesti elettorali che sbiadivano, la promessa politica di ripulire il fiume i cittadini l’hanno ascoltata ogni volta che nella zona sono state aperte le urne, progetto impossibile senza collaborazione corale tra decine di comuni vesuviani. Accanto ad ogni casa che si affaccia sul fiume si possono contare i buchi degli scarichi: è l’alternativa privata dei residenti per un impianto fognario cittadino non funzionante o del tutto inesistente.

Sulle piante che crescono selvagge intorno alle sponde non ci sono frutti ma bottiglie di plastica incastrate. Intorno al fiume ruderi cadenti, donne con i fazzoletti in testa, uomini con la zappa in spalla. Stanno tutto il giorno sotto l’ultimo sole rovente di ottobre e le ombre lunghe delle insegne delle fabbriche abbandonate. Se chiedi ad ogni contadino con quale acqua viene irrigata la sua zolla, ognuno risponde di avere il suo pozzo privato.

“Nel 1972 ho pescato l’ultima trota” dice il pensionato in bicicletta Giovanni. Quando ricordano il passato, i vecchi parlano del peso preciso dei pesci catturati nell’acqua limpida. “Questo posto lo chiamavano la piccola Venezia, c’era anche una specie di gondola”. Ora si vedono navigare lattine nella piazza del paese di Scafati. Le case si affacciano su canali dove i rifiuti non scorrono, rimangono come panorama immobile e infausto. “Le fabbriche ora hanno gli impianti di depurazione ma nessuno controlla che funzionino. Quando cominceranno la lavorazione di pomodori il Sarno diventerà rosso sangue”.

Se le istituzioni non possono cambiare il corso delle cose e del fiume, che nasce limpido e trasparente alla sorgente,i vesuviani alzano occhi al cielo e seguono la statua della parrocchia di San Michele, in processione tra i canali.Qui ogni domenica pescano vecchi locali e giovani migranti, biondi e bulgari. Un ragazzo che viene qui con suo padre da decenni posa la canna da pesca e raccoglie dei vasi integri dal fiume, perché nel Sarno tutto scorre. Si chiede chi abbia potuto buttarli e perché. Dice che ci metterà dentro dei fiori, per rendere almeno qualcosa più bello qui intorno.

La risposta del Ministro dell’Ambiente, Sergio Costa su Il Fatto Quotidiano
Caro Direttore, ho letto con attenzione e commozione l’articolo da voi dedicato all’emergenza ambientale rappresentata dal fiume Sarno e non posso nascondere il profondo senso di indignazione provato, lo stesso che mi trovo a dover leggere tra le righe di una inchiesta, ma più frequentemente negli sguardi dei tanti cittadini che ogni giorno incontro. Persone che hanno visto la propria terra martoriata, stuprata per troppi anni e che vivono la rabbia e lo sconforto di non poter dare ai colpevoli dello scempio un nome e un volto. Peggio, questi cittadini si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni, hanno spesso smesso di avere fiducia nello Stato. Lo scenario da voi descritto lascia trapelare proprio questo comune sentire, per troppo tempo chi ha la “sfortuna”di vivere in alcuni dei luoghi più inquinati d’Italia, si è sentito lasciato solo, ha sperato in un cambiamento che non è arrivato e, infine, si è arreso. Altri non l’hanno fatto, come le due donne eroiche che voi citate, Lia e Marilena, una titolare di un’azienda biologica e un architetto che hanno scelto di restare nella propria terra e lottare per cambiare le cose. Da queste esperienze, da questi esempi di tenacia e speranza abbiamo il dovere di ripartire affinché anch’esse non restino deluse.

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