Da Napoli all’agro per depredare case e ville

Il modus operandi della banda di Albanesi che ha terrorizzato la provincia di Salerno

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La loro base era Caivano, da dove partivano armati fino ai denti, a bordo di auto rubate e di grossa cilindrata. I loro obiettivi erano case, appartamenti o ville isolate, spesso ubicate in periferia dalle quali era più semplice scappare e agire indisturbati. Per consumare un colpo indossavano tute scure e passamontagna. Sulle auto invece, avevano installato un congegno che permetteva loro di sostituire in un attimo le targhe, eludendo i controlli delle forze dell’ordine. Grazie alle indagini dei carabinieri di Casoria furono 8 le persone a finire in carcere, tutte interne ad una banda proveniente dall’Albania. E il cui modus operandi era considerato spietato e violento, tanto che i media accostarono le loro azioni ai protagonisti del film “Arancia Meccanica”. Due di loro, appena pochi giorni fa, sono stati condannati a 8 anni di carcere ciascuno per un singolo episodio, ricostruito grazie alla testimonianza preziosa di una delle tante loro vittime. La condanna è arrivata dal tribunale di Nocera Inferiore, dove le posizioni dei due albanesi erano state iscritte per via del territorio interessato da una brutale rapina, quello di Sant’Egidio del Monte Albino. A esser preso di mira fu un 50enne, che nel rincasare a tarda notte in casa scoprì due persone a volto coperto che riempivano sacche con gioielli e altri oggetti di valore. Uno dei due rapinatori gli si parò addosso, sbattendolo a terra, per poi ficcargli una pistola in bocca. Un’azione che costò alla vittima la rottura di un dente. L’arma però si inceppò prima di sparare e l’altra persona, il complice, onde evitare problemi pensò di massacrare la vittima a colpi di chiave inglese. Dopo averlo rapinato, i due si diedero alla fuga. I carabinieri riuscirono ad individuare i due non solo grazie alla testimonianza della persona rapinata, ma anche comparando gli elementi raccolti dai colleghi napoletani che già indagavano da tempo su quel gruppo criminale. L’episodio di Sant’Egidio fu fortunatamente per l’Agro Nocerino un caso isolato, dato che il gruppo scorazzava anche in altre regioni, come la Basilicata

Per capire quanto fossero spietati, basta pensare al fatto che nel 90 per cento dei casi le vittime venivano seviziate o torturate. Ad alcune venivano cavati persino i denti. Che si trattasse di portar via soldi o di conoscere la password di una cassaforte, quel “trattamento” toccava chiunque. Anche un bambino di 8 anni, minacciato di morte davanti ai suoi genitori in uno dei tanti episodi ricostruiti dalla Procura. Uno degli elementi di quel gruppo, ritenuto tra i più pericolosi, fu incastrato da due tratti distintivi del volto: la forma pronunciata del naso e le sopracciglia molto folte. E.J. , di 49 anni, ricercato anche dall’Interpol, sempre per reati analoghi e con accuse che andavano dall’omicidio alle rapine commesse in Albania. Quattro componenti della banda furono arrestati in un casolare nelle campagne di Cardito, nei pressi di Napoli. Poi fu la volta di altri quattro. In precedenza, i carabinieri di Casoria erano quasi riusciti ad acciuffarli tutti. Fu poco dopo l’ennesimo colpo, al termine del quale gli stranieri furono intercettati in provincia di Caserta, ad un posto di blocco. Le auto non arrestarono la loro corsa e questo diede inizio ad un inseguimento spettacolare con i carabinieri. Riuscirono a scappare, dopo aver abbandonato i mezzi lungo la strada, mischiandosi tra la vegetazione delle campagne circostanti e l’oscurità della notte che ne favorì la fuga.

Uno degli ultimi episodi che toccò ancora la nostra provincia fu quello denunciato il 18 dicembre del 2015. La vittima era un sacerdote, Antonio Pisani, della chiesa di Sant’Anna a Fisciano. L’uomo uscì dalla canonica per attivare la caldaia e fu colpito alle spalle da un uomo, un giovane di 24 anni. Lo ferì con un cacciavite, poi lo prese a pugni in volto facendogli perdere i sensi. Trascinato in chiesa, gli legò le mani dietro la schiena con una cintura di un accappatoio. Al suo risvegliò gli puntò una pistola alla tempia, minacciandolo di morte se avesse cominciato a urlare o a chiedere aiuto. Poi gli sottrasse 300 euro in contanti, 3 orologi da polso, un calice e alcune medaglie in argento. Dopo diversi mesi d’indagine, fu provata la sua responsabilità, con l’arrivo di un’ennesima misura di custodia cautelare in carcere. Nei prossimi mesi sarà giudicato nuovamente dal tribunale di Nocera Inferiore

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