Covid-19/ Cultura- Cinquant’anni fa ci lasciava il poeta del Carso

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Il 1°Giugno 1970, uno dei personaggi letterari più amati  e popolari d’Italia, chiudeva gli occhi per sempre. Non vide mai più la “Mattina”, Giuseppe Ungaretti.

A cinquant’anni dalla sua scomparsa è diventato il poeta più letto, clikkato e citato della Pandemia 2020. Il poeta di “Veglia”, “mai stato tanto attaccato alla vita” come quando assisteva un compagno morente,  ci insegna a riconoscere, sulle “macerie” della sofferenza, l’”immensità” che ci sovrasta e ciò che va al di là della nostra percezione.

Poche settimane fa, Luca Zingaretti, in una Napoli deserta e in quarantena, ha letto al pubblico virtuale “San Martino del Carso”, una delle poesie più belle  e famose del poeta di origini lucchesi ma nato ad Alessandria d’Egitto. “Ma nel cuore nessuna croce manca. E’ il mio cuore il paese più straziato”.

Subito la poesia si è fatta preghiera universale a distanza di un secolo. Ungaretti  era apprezzato per i suoi versi innovativi e profondi, ma al tempo stesso incisivi e semplici, unica possibilità per salvarsi da ”l’universale naufragio” in cui la vita conduceva l’essere umano , divenne un personaggio “popolare” grazie alle sue apparizioni televisive negli anni ’60, quando commentava qualcosa o recitava i versi dell’Odissea a introduzione dello sceneggiato RAI.

Nelle scuole i più amati dai ragazzi sono i suoi versi, con la loro forza modernissima e la capacità di parlare di sentimenti profondi ed eterni con i quali i giovani si trovano a confrontarsi crescendo.

I manoscritti del poeta, appunti, epistolari e documenti sono oggi raccolti nel fondo Giuseppe Ungaretti, conservato presso l’Archivio contemporaneo “Alessandro Bonsanti” del Gabinetto Vieusseux a Firenze.

Giuseppina Rita De Stefano

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