Cava, per il Tribunale del Riesame il gruppo Zullo “non era un clan”

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Cade l’aggravante mafiosa nell’indagine sul Clan Zullo, che a settembre scorso portò all’arresto di quattordici persone. Il Tribunale del Riesame di Salerno ha riqualificato il reato in associazione per delinquere semplice.

Per tale decisione, hanno lasciato il carcere per andare ai domiciliari Carmela Lamberti e Geraldine Zullo, rispettivamente moglie e figlia di Dante Zullo (difese dall’avvocatessa Teresa Sorrentino), Antonio Di Marino e Carlo Lamberti (difesi dall’avvocato Arturo Della Monica). Mentre per Antonio Santoriello la misura cautelare, emessa dal gip lo scorso mese di settembre, è stata annullata e l’indagato (difeso dall’avvocato Teresa Sorrentino) è tornato in libertà.

Nulla è cambiato, per quanto riguarda la misura detentiva, per Dante e Vincenzo Zullo (padre e figlio) e Vincenzo Porpora anche se nei loro confronti l’ipotesi di 416 bis è stata riqualificata in 416. Così come per Domenico e Mario Caputano (difesi dall’avvocato Mario Secondino) per i quali è caduta l’aggravante del metodo mafioso sebbene rimangano ancora in essere le misure cautelari emesse dal gip Scermino il mese scorso. In quattordici furono arrestati per ipotesi di reato (oltre quella associativa) relative ad episodi di estorsione ed usura, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti: per la Dda (pm Senatore), a Cava dei Tirreni, si erano costituiti tre gruppi che si sparivano la piazza del malaffare.

L’inchiesta muove accuse, oltre che per associazione a delinquere, anche per usura, estorsione, spaccio di droga e detenzione illegale di armi. Lo spaccato emerso dall’indagine della Mobile di Salerno riferiva di rapporti tra esponenti del clan e delle istituzioni metelliane, con un’indagine tutt’ora in corso per ulteriori riscontri e accertamenti. Quarantasette gli indagati, con indagini durate tre anni, partite nel 2015 fino al 2017, con i primi arresti di Dante Zullo, il figlio Vincenzo e l’amico Vincenzo Porpora. Tanti gli interessi economici che avrebbe avuto l’organizzazione, che poteva contare anche sul denaro della raccolta pubblicitaria per le inserzioni dello stadio Lamberti per conto della Cavese. Ma non solo: anche l’occupazione di un fondo trasformato da suolo agricolo in pista di allenamento per cavalli, senza alcun permesso per costruire. Un secondo gruppo, individuato, era dedito invece a delitti quali usura aggravata e di estorsione, talora con ricorso al metodo mafioso, ora caduto in sede di Riesame. Un terzo gruppo, invece, gestiva le piazze di spaccio nella città di Cava de’ Tirreni.

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