Alle 5 della sera: Cent’anni di solitudine, storia di tutti i giorni (di Claudia Squitieri)

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Ci sono storie che risucchiano in una spirale di piacere dalla quale è quasi impossibile tirarsi fuori. Il romanzo Cent’anni di solitudine di G. Garcìa Marquez è un classico senza tempo capace di suscitare simili reazioni. Scritto in appena 18 mesi dopo 15 anni di incubazione e pubblicato per la prima volta nel 1967, riscosse il favore del pubblico immediatamente divenendo una tra le opere più significative della letteratura del Novecento. Gli avvenimenti si svolgono a Macondo, un paese
fittizio della Colombia, e ripercorrono le vicende della famiglia Buendìa, partendo dal progenitore tale José Arcadio fino all’ultimo nato delle sette generazioni che si succederanno in un lasso temporale di cent’anni. Nell’ incedere del tempo e attraverso l’uso della prolessi, una figura retorica del processo narrativo
atta ad anticipare avvenimenti ancora da narrare al fine di coinvolgere strategicamente il lettore, i personaggi del racconto si alternano numerosi, intessendo una tela di avvenimenti che in un movimento circolare confluiranno in un unico punto chiaro solo alla fine della romanzo grazie alla decifrazione di una pergamena. Lo stile narrativo è personale e basato su quello che viene definito
realismo magico, in quanto le storie sono realistiche perché tratte da vicende familiari e dalla storia colombiana vera e inventata, e arricchite da eventi fantastici e leggendari attraverso l’immaginazione dell’autore. La storia della Colombia moderna, con le differenti posizioni a favore e contro la politica liberale e lo stile di vita coloniale, emergono dalle vicende della famiglia Buendìa offrendo una contestualizzazione del racconto precisa e strutturata. ll lettore è inglobato in un surrealismo suggestivo e mai scontato dove il mondo dei morti si
confonde con quello dei vivi dando nuovo impulso alla narrazione, che rende possibile ripercorrere le tappe dell’esistenza umana in un delirio di solitudine ineluttabile. La bellezza del libro si ravvisa nell’umanità dei personaggi, nella loro fragilità, nella loro asprezza, nel loro desiderio di affermazione e di rivincita, nella loro curiosità per un mondo che cambia e nel quale avvertono di essere naufraghi, nella loro determinazione a rimanere aggrappati a quelle che considerano certezze, nel loro disincanto e nella loro disillusione per un avvenire perduto. L’incapacità di comunicare e di ritrovare una nuova formula per riprovare a vivere diventa la
solitudine dei giorni da consumare senza speranza.
Claudia Squitieri
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