Accade oggi…Simonetta Cesaroni, viene assassinata nell’ufficio in cui lavorava a Roma

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Nella desolata e calda Roma dell’agosto del 1990 la melodia delle onde e delle canzoni cantate in riva al mare, è rotta da un omicidio efferato e cruento che scuote l’opinione pubblica dall’inerzia estiva.

Le immagini sorridenti di un paese in ferie si mescolano con quelle di una ragazza al mare con un costume bianco intero infilato in un paio di calzoncini di jeans: Simonetta Cesaroni, una giovane impiegata romana di appena 21 anni, è stata uccisa.

La giovane lavorava presso lo studio commerciale Reli Sas, che aveva tra i suoi clienti la A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù): per due volte a settimana, martedì e giovedì pomeriggio, si recava presso la sede dell’associazione sita al civico n. 2 di via Carlo Poma, per occuparsi della parte contabile.
E proprio quel martedì si reca come sua abitudine a lavoro: sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro prima delle così agognate vacanze estive. Ma stavolta Simonetta non torna a casa… I familiari, verso le 21:30, non vedendola tornare per cena iniziano a preoccuparsi.

Paola, la sorella di Simonetta, decide così di telefonare al datore di lavoro, Salvatore Volponi, ma da quest’ultimo non riceve alcuna informazione.
Paola quindi decide insieme al fidanzato di raggiungere il Volpe e di recarsi all’ufficio.
Verso le 23:30, nell’aprire la porta notano che il condizionatore e il computer sono ancora accessi, e subito dopo trovano il corpo della ragazza riverso sul pavimento.
Braccia e gambe divaricate. E’ seminuda: il reggiseno abbassato, la canotta arrotolata verso l’alto e i calzini bianchi ancora ai piedi.

Mancano tutti gli effetti personali della donna, nonché i vestiti: ad eccezione delle scarpe riposte vicino alla porta d’ingresso.
La porta dell’appartamento non ha segni di scasso e quindi, con molta probabilità, è stata la stessa ragazza ad aprire al suo carnefice (o l’assassino aveva le chiavi).
La donna ha lottato, si è divincolata ed è scappata per poi essere bloccata crollando a terra e sbattendo la testa sul pavimento ed è proprio questo trauma cranico ad averle causato la morte: nessuna violenza sessuale, stilettate, ben 29, inferte forse da un punteruolo sul viso, sul torace, sul ventre e sulla zona pubica. Il decesso è stabilito tra le 17:00 e le 18:30.

Le uniche tracce di sangue non appartenenti alla vittima sono maschili, e vengono rinvenute sulla maniglia della porta dell’ufficio.
Unico indizio: un foglio con un pupazzetto e una scritta: “CE DEAD OK”.
• Tre giorni dopo il delitto viene arrestato Pietrino Vanacore, portiere del palazzo, perché durante gli interrogatori si è contraddetto, perché presenta due piccole macchie di sangue sui pantaloni e, perché cosi dichiarato dai suoi stessi familiari, quest’ultimo si era assentato proprio nel lasso di tempo in cui è stato commesso l’omicidio.
Il sangue risulterà essere dello stesso Vanacore e questi verrà presto rilasciato.
• L’11 marzo del 1992 c’è una nuova svolta nelle indagini: i sospetti si volgono verso Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare, inquilino del palazzo, per una ferita su un braccio riportata la sera del delitto. Ma sembra non trattarsi di ferita da arma da taglio, e il sangue del ragazzo non corrisponde a quello ritrovato sulla porta dell’ufficio di via Poma.   Il 16 giugno del 1993 Francesco Valle viene completamente scagionato da ogni accusa per mancanza di prove.
• Tra il giugno del 2004 e i primi giorni del 2007 i carabinieri del RIS di Parma effettuano nuove analisi sulle tracce di saliva rinvenute sul reggiseno e il corpetto indossati da Simonetta nel pomeriggio del 7 agosto del 1990: si arriva all’incriminazione dell’ex fidanzato.
Incriminazione che cadrà il 27 aprile del 2012, al termine del processo di secondo grado. Assoluzione poi confermata dalla Corte di Cassazione in via definitiva il 26 febbraio 2014.
• Nel 2004 si indaga infine sul foglio di carta ritrovato nell’ufficio e si cerca di decifrarne la scritta “CE DEAD OK”: un testimone, che scambiava messaggi con Simonetta attraverso un videoterminale, sostiene che l’assassino potrebbe essere un loro compagno di chat, dal soprannome “Death” (morte, in inglese), che sarebbe scomparso dalle stanze virtuali del Videotel il giorno dopo l’omicidio firmando un ultimo messaggio che recitava: “Hai visto l’ho fatto, ho ucciso Simonetta”.

Il delitto ha una grande risonanza mediatica, amplificata ulteriormente dalla circostanza che sei anni prima, il 24 ottobre del 1984, nello stesso condominio, al primo piano della scala “E” si era consumato un altro delitto simile: Renata Moscatelli, una pensionata di sessantotto anni venne ritrovata morta nella camera da letto del suo appartamento.
Il mistero si infittisce ancor di più, quando si scoprirà che Roland Voller, che aveva un’amicizia telefonica con la madre di Valla, era un collaboratore dei servizi segreti e che gli stessi servizi avevano degli interessi a utilizzare l’A.I.A.G. per il reclutamento di nuovi agenti: senza contare che in via Poma erano diversi gli immobili intestati a società di copertura dei servizi.

Il 9 marzo del 2010, Pietro Vanacore, che non era mai uscito completamente dalle indagini, si suicida gettandosi in acqua a Torre Ovo, in provincia di Taranto, dove risiedeva da anni.
Pochi giorni dopo avrebbe dovuto testimoniare al processo, lascia così il dolore terreno: “Venti anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio”.
A distanza di 30 anni, resta uno dei tanti cold-case della cronaca nera italiana.

Antonietta Della Femina

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