Accade oggi…dopo 2 anni la Gioconda fu “ritrovata”

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“Quale molla scattò?”
Primo: credeva che il quadro fosse bottino di Napoleone. Secondo: voleva beffarsi dei francesi, che ridevano per il suo mandolino, e lo chiamavano sprezzanti “mangia-maccheroni”. Negò speculazioni, complici, corruzione e voglia di arricchirsi rivendendo la Gioconda a mercanti disonesti.

Tanto è vero che la riportò in Italia e si mise in contatto con un antiquario fiorentino per riconsegnarla agli Uffizi. (…) Il gesto non è certo da elogiare, minimizzare, giustificare. Da ingenuo credeva di aver fatto bene e si aspettava persino una ricompensa: soldi, o una pensione, o un lavoro in un museo italiano come stuccatore o decoratore.
Invece ebbe arresto, processo, condanna e carcere”.
(Da un’intervista alla figlia di Vincenzo Peruggia, Celestina Peruggia – Stile Arte)

Agosto 1911. Il decoratore Vincenzo Peruggia ha scelto lunedì 21 per il furto di uno dei maggiori capolavori del genio italiano Leonardo da Vinci, la Gioconda, una donna dall’espressione emblematica.

Il quadro era appeso fra un Giorgione e un Correggio. In maniera indisturbata porta via l’opera utilizzando una scala di servizio. Toglie la cornice, nasconde la piccola tavola sotto il suo camiciotto da lavoro e torna a casa. Nasconde il dipinto sotto il piano di un tavolino grande poco più dell’opera (77×53 centimetri).

Cambia abbigliamento e via a lavoro.
Poco dopo il pittore Louis Béroud e l’incisore Frédéric Laguillermie, da poco arrivati al Louvre per studi e ricerche, notano che la Gioconda non è al suo posto. Presa per essere fotografata dal fotografo intendo del Museo? Questa l’ipotesi azzardata dai due.
Béroud, stanco di aspettare, chiede notizie al brigadiere Poupardin, il quale impallidisce quando apprende che i fotografi non hanno la Gioconda. Per prudenza si bloccano le visite.
Dopo vane ricerche affannose, la direzione mobilita mezza Parigi. Nessun indizio particolare, solo la cornice e la teca di vetro che proteggevano la Gioconda ed un’impronta digitale.

“Inimaginable”, titola il giorno dopo “Le Matin”. “Le Figaro” urla alla nazione: “La Joconde a disparu”.
Al Louvre iniziano gli interrogatori di custodi e impiegati presenti (257 persone) e si prendono loro le impronte digitali.
Furono 1350 i sospettati, tra questi anche Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso, incastrati da alcune statuette fenice rubate e non inventariate provenienti dal museo parigino.

Mezza Parigi fu messa sottosopra, perquisizione in ogni angolo. Intanto Vincenzo Peruggia pianificava il modo per far rientrare in Italia il quadro. La soluzione per arrivare a Firenze la trovò due anni dopo: scrisse, firmandosi Vincent Leonard, ad Alfredo Geri, un collezionista fiorentino che stava organizzando una mostra. Peruggia gli offrì la Gioconda, chiedendo mezzo milione di lire e, soprattutto, la promessa che l’opera sarebbe rimasta in Italia. Geri, dopo aver consultato il direttore della Regia Galleria di Firenze, rispose a Peruggia e lo invitò a portare il quadro per controllarne l’autenticità.

Era proprio lei, la Monna Lisa di Leonardo Da Vinci. Peruggia poche ore dopo, il 12 dicembre, venne arrestato, poi successivamente processato e condannato a un anno e quindici giorni (poi ridotti a sette mesi e otto giorni) di prigione.

È restato alla storia come “l’italiano che rubò la Gioconda”.

Antonietta Della Femina

 

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