Cinipide delle castagne, l’insetto cinese che divora l’impero campano

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La castagna fino a pochi anni fa era uno dei prodotti agricoli trainanti della Campania, con una produzione annua di 30mila tonnellate, scese a 6 mila nel 2015, quest’anno poco più di 3 mila tonnellate. Una debacle preannunciata da mesi che ha spinto le associazioni di categoria a chiedere lo stato di calamità naturale del comparto castanicolo, ma con il rischio che si risolvi in un nulla di fatto.

Quando si parla di castagne in Campania non bisogna dimenticare che la nostra regione produce il 51% del totale nazionale, il 10 per mille della produzione mondiale, oltre 13mila ettari impiegati, con circa 5.000 aziende agricole impegnate e altre decine che si occupano di trasformazione, costituendo il principale polo europeo della lavorazione industriale dei frutti di castagna, con 2000 dipendenti, indotti ultramilionari che si stanno progressivamente assottigliando nel corso degli ultimi dieci anni. In Campania la castanicoltura è un colosso economico che si è sgretolato sotto i colpi di un piccolissimo insetto chiamato Cinipide Galligeno, alias vespa cinese del castagno, che ha quasi ridotto all’osso la nostra produzione di questo frutto autunnale che ben presto potremmo importare in grandi quantità dalla stessa Cina, primo produttore mondiale. Per il momento la richiesta verrà soddisfatta con importazioni da Spagna, Portogallo e Albania, ammesso che sapremo mai la loro provenienza…

Avvistato per la prima volta in provincia di Cuneo nel 2002, il Cinipide è arrivato in Campania nel 2008 su alcune colture di Montoro Inferiore e Fisciano, in pochi anni si è sparso a macchia d’olio in tutta Italia ed Europa. La principale modalità di diffusione dell’insetto sulle lunghe distanze avviene attraverso la movimentazione di materiale di propagazione infestato. I danni che compie la vespa cinese del castagno sono subito evidenti: provoca la formazione di galle, cioè ingrossamenti di varie forme e dimensioni, a carico di gemme, foglie e amenti del castagno, riducendo drasticamente le produzioni in quanto limita lo sviluppo dell’apparato vegetativo e riproduttivo degli alberi di castagno. Cosa si può fare per contrastare questo insetto? Il suo nemico biologico si chiama Torymus sinensis, un piccolo imenottero che si nutre delle larve del cinipide, originario dell’Estremo Oriente come il Cinipide stesso ed introdotto, con risultati positivi, in Piemonte nel 2006. Dalla Coldiretti Piemonte fanno sapere che “grazie alla lotta biologica ora il problema è totalmente sotto controllo. Piuttosto il problema ora può essere quello rappresentato dalla Cydia splendana Hubner, detto anche verme delle castagne, anche se non è di grossa rilevanza. La raccolta è già stata ultimata, i prezzi sono alti (4,00€/kg all’inizio della raccolta e ora siamo sui 2,80-2,70€/kg). In generale, quindi, l’annata per il Piemonte è positiva”.

Ma perchè in Campania non ha conseguito gli effetti sperati? “Parliamo di due realtà diverse – ha spiegato Mario Grasso, direttore Cia Campania -. La Campania era (ahimè) la prima produttrice di castagne in Italia e in Europa, mentre in Piemonte è una produzione limitata rispetto alla Campania. Il Cinipide non è stato debellato, ha raggiunto una soglia di tolleranza. Secondo punto, c’è il fattore climatico. Può darsi che in Campania il Torymus non riesca ad avere la stessa moltiplicazione”.

Le soluzioni dovranno partire dall’assessorato all’Agricoltura della Regione Campania: “La prima cosa da fare è riconoscere i castagneti da frutto come frutteti, quindi serve una legiferazione apposita da parte della Regione Campania – ha proseguito Mario Grasso -. In tal modo i castagneti possono essere trattati come coltura agricola. Al momento vengono considerati come bosco e foresta, non sono permesse molte pratiche agronomiche, come l’uso del piretro. Inoltre bisogna sperimentare altre soluzioni contro il Cinipide e la Cydia e non fermarsi solo al Torymus che finora non ha dato effetti”. L’unico risultato è che in molti stanno abbandonando i terreni dedicati alla castanicoltura con conseguente rischio sulla salvaguardia dell’assetto ambientale e idrogeologico. Adesso le associazioni di categoria stanno avviando le pratiche per la richiesta del riconoscimento dello stato di calamità naturale del comparto castanicolo, ma il rischio è di fare un buco nell’acqua: “Anche se verrà avviata la calamità naturale non si potrà accedere, perché bisogna dimostrare che si è avuto un calo del 30% rispetto all’anno precedente. Ma se l’anno prima non c’è stata produzione come faccio a dimostrare che c’è stata questa riduzione del 30%? E’ il cane che si morde la coda. Purtroppo sono troppi gli anni in cui non c’è stata quasi nessuna produzione”.

Luigi Ciamburro

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